I MESI ESTIVI, per la gioia degli
appassionati di musica calabresi, ricordano sempre più un gioco che, da qualche
parte, si continua a fare. Lo scambio delle “figurine”. Quel rito consumato
durante la ricreazione o all’uscita di scuola (talvolta, censurato da
severissime maestre, finiva con il sequestro...) che, tra un «ce l’ho» e un «mi
manca», portava al completamento dell’album Panini. Nell’ambito del «c’è manca» dell’estate 2004, il musicomane di area
cosentina può ora annoverare due “figurine” mancanti di primo livello. Quasi
come Pizzaballa e Cinesinho. Ovvero: Afterhours e Verdena. Alla DB Eventi e l’associazione Entropia, quest’anno, è riuscito un gran
colpo. Dodici mesi fa, avevano portato, allo stadio di Fuscaldo, Meganoidi ed
Africa Unite. E la risposta del pubblico era stata notevole. Ma i live di Afterhours
(31 luglio) e Verdena (7 agosto) a Fuscaldo hanno un significato ancora
maggiore.
La band capitanata da Manuel
Agnelli, infatti, in Calabria non aveva mai messo piede. Nonostante un pò della
loro notorietà abbia profonde radici calabresi. Che spieghiamo subito.
Gli esordi del gruppo (1989),
infatti, sono in lingua inglese: un Ep (All the good children go to hell) e un
album d’esordio (During Christine’s sleep) che richiamano l’attenzione della
Geffen, la casa discografica che all’epoca produceva Nirvana e Guns n’ Roses.
Ma non se ne fa nulla.
La lingua di Dante, che ispirerà
tutti i successivi album, dall’ottimo esordio, Germi, in poi, gli Afterhours la
usano per la prima volta nel 1992. Salgono sul palco di Arezzo Wave. La
batteria di Giorgio Prette parte soffice. Dalla sua chitarra elettrica parte un
riff già noto, ma distorto. Come le parole: «Non ha mai pagato per fare l’amore, non ha mai vinto
un premio aziendale...». Manuel Agnelli riscopre Rino Gaetano e Mio fratello è figlio unico prima
che la “Rinogaetanite” dilaghi su scala nazionale.
Da allora, a parte una mezza battuta
a vuoto (il disco Non è per sempre, con troppe concessioni al pop), una gran
carriera. Un album capolavoro assoluto, e non solo del loro repertorio (Quello
che non c’è, 2001). Temi che affondano le mani nell’insoddisfazione di più generazioni
(«perché non posso dirti di non essere felice? non sono meno vivo...»).
Dei Verdena, invece, si ricorda un
concerto un paio di anni fa in quel di Castrovillari. La band di Bergamo,
all’epoca, era appena agli esordi e teneva un’attività live molto intensa lungo
lo “stivale”. Da allora, molto è cambiato. Prima l’incontro con Giorgio Canali,
all’epoca nei CSI, e l’uscita del primo album omonimo.
Quindi, altre due produzioni
d’eccezione: Mauro Pagani e Manuel Agnelli, di cui sopra avete letto le gesta.
Nasce Solo un grande sasso, lavoro ambizioso con sonorità che spaziano dalla
rudezza delle (lontane) origini, grazie al piano rhodes e al mellotron. Infine,
nel 2003, il loro ultimo lavoro: Il suicidio del samurai. Curiosità: il titolo
è lo stesso di una delle prime canzoni scritte da Kurt Cobain, Samurai suicide.
(…)
(Andrea Marotta, Il Quotidiano della Calabria)
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