Ilaria Cucchi: “Un film per riaprire il processo sulla morte di mio fratello”
Che è un’arma preziosa, perché “il ruolo dell’informazione è fondamentale, il processo mediatico più importante di quello giudiziario”, e si aggiunge a un altro privilegio: “Mi sento quasi irriconoscente e irrispettosa verso le altre famiglie che non possono neanche avere un processo. Noi il processo ce l’abbiamo, ma è tutto difficile, perché il primo processo è alla vittima e alla famiglia. E Stefano è un tossico che meritava di morire”, accusa Ilaria. Eppure, la fiducia nello Stato c’è ancora: “Da cittadina onesta la devo avere, anche se sono pessimista: è normale che una famiglia sia abbandonata a se stessa nelle aule?”. Parole e numeri che bruciano: “148 ristabilisce la verità: in Italia non c’è la pena di morte, ma mio fratello l’ha avuta”. E nemmeno è stata riconosciuta: “Le responsabilità individuali sono evidenti, ancor più quando si coprono i colpevoli: non si parla più di mele marce, bensì di macchiare tutta la categoria”. Picchiato nei sotterranei del tribunale, isolato e lasciato morire all’insaputa dei familiari, Stefano ha rivelato ancora una volta “la realtà spaventosa del carcere: quattro ore con la schiena rotta su una panca di ferro, perché il detenuto è carne da macello e il rispetto per la dignità umana conta zero”. E, dice Cartolano, “poteva accadere a chiunque, come già a Federico Aldovrandi e Giuseppe Uva.
Eppure, in tribunale si nega che Stefano sia stato picchiato: polizia penitenziaria, carabinieri e medici, c’è un sistema omertoso”. E una sola speranza, che Ilaria rivendica: “Io, Patrizia (madre di Federico Aldovrandi), Lucia (sorella di Giuseppe Uva) e Domenica (figlia di Michele Ferrulli) siamo unite e vicine”. E Il futuro prossimo è un’associazione: vittime di Stato?
(da Il Fatto Quotidiano on line)